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“Problemi al cuore in famiglia, genitori, zii, nonni?” Lo chiedono sempre i medici, per fotografare il passato del paziente e i suoi connessi rischi sanitari, a iniziare dal rischio numero uno, quello relativo ai problemi cardiovascolari.

“Problemi al cuore in famiglia, genitori, zii, nonni?” Lo chiedono sempre i medici, per fotografare il passato del paziente e i suoi connessi rischi sanitari, a iniziare dal rischio numero uno, quello relativo ai problemi cardiovascolari. Il quesito è fondato, perché è accertata l’influenza della genetica sull’esposizione ad alcune patologie. Tuttavia, circa il quesito se conti “più la genetica o gli stili di vita”, arriva da una ricerca americana una risposta che fa “vincere” i secondi. E con un secco 4 a 0.

Lo si legge sul New England Journal of Medicine, grazie a un maxi-studio presentato dagli scienziati del Massachusetts General Hospital al Congresso dell’American Heart Association, tenutosi nei giorni scorsi a New Orleans. Hanno riesaminato i dati, insieme genetici e clinici, di oltre 55mila partecipanti, al fine di verificare appunto se una “vita sana” possa ridurre l’esposizione ad attacchi al cuore anche in persone geneticamente predisposte (considerando una cinquantina di varianti ereditarie ritenute associate all’alto rischio).

Sono stati quindi valutati gli effetti di quattro fattori indicativi di stili di vita corretti: non fumare, non essere obesi, esercizio fisico almeno una volta alla settimana, e una dieta sana. La loro qualità è stata ritenuta globalmente “favorevole” se almeno tre di tali variabili venivano rispettate dal singolo. Ebbene, è emerso che, per chi le seguiva, il rischio di attacchi cardiaci risultava addirittura dimezzato, perfino tra le persone a più alto rischio genetico. Insomma, nelle parole di Sekar Kathieresan, genetista e direttore del centro di ricerca del Massachussets, “il Dna non è un destino”. 

E quindi non è una condanna. Il concetto, con tutto quel che rivela circa l’importanza della prevenzione, è stato ribadito la scorsa settimana anche in Italia, e nell’ambito di un Festival. Si chiama “Life Break”, e si è tenuto per la seconda volta a Bari, con una catena di conferenze, documentari, dibattiti scientifici pubblici, cene, documentari e presentazioni di prodotti e diete sane. Dedicato stavolta alla chef Isa Cipriani, organizzatrice del Festival, venuta a mancare poche settimane fa. 

Tra un evento e l’altro, su alimentazione, tecniche di meditazione, percorsi integrati di prevenzione, approfondimenti sul ruolo e le modalità delle attività motorie, emerge chiaramente un “filo rosso”: la ricerca della qualità nei nostri stili di vita non è un “fenomeno di tendenza”, ma una vitale necessità. Ce lo chiede anzitutto il cuore.

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