MENU
Roma è stata scelta a sede per il 2017 del programma Cities Changing Diabetes, mobilitato da anni dal danese Steno Diabetes Center in collaborazione con l’University College di Londra.

Copenhagen chiama Roma. La capitale italiana è stata scelta a sede per il 2017 del programma Cities Changing Diabetes, mobilitato da anni dal danese Steno Diabetes Center in collaborazione con l’University College di Londra. Un bell’appuntamento, che muove dalla presa d’atto di quanto il vissuto nelle metropoli alimenti tuttora il rischio di contrarre la malattia. Ed è un tema che chiama tutti, dai decisori sanitari e politici ai singoli individui, a qualche seria quanto salvifica correzione di rotta.

Il problema è che le città innescano per loro natura situazioni insalubri, dall’inquinamento ai fattori di stress alle cattive abitudini alimentari, tutte foriere di un aumento di rischio di ammalarsi di diabete (oltre a tumori, patologie cardiovascolari e disturbi broncopolmonari) per documentate ragioni scientifiche. Solo che, nota l’ambasciatore danese Erik Vilstrup Lorenzen, “nel 1960 un terzo della popolazione mondiale viveva nelle città; oggi si tratta di più della metà e nel 2050 sarà il 70 per cento”.

Considerando poi che due diabetici su tre vivono nelle città (per la cronaca, il primato è di Tokyo con 37 milioni di abitanti, anche se le statistiche divergono a seconda delle fonti e dell’inclusione o meno dei loro circondari), questo dà il passo dell’estensione del problema e delle preoccupazioni per il futuro. Insomma, una vera e propria emergenza, tanto da mettere a rischio perfino “la sostenibilità dei sistemi sanitari”, come è emerso nei giorni scorsi in un convegno a Roma.

C’è però un grande “ma”, che rovescia in positivo l’intero quadro. Le città non sono solo la sede dei vizi e dell’aria poco respirabile, ma anche il luogo dove si “fa rete” per eccellenza. E’ per questo che in tanti la scelgono, non solo per ragioni economiche ma anche sociali. Il diabete è la tipica malattia che chiama a un approccio multidisciplinare, a un’attenzione complessiva, che va dalla prevenzione alla cura, dagli aspetti alimentari a quelli comportamentali e sociali.

In questo stanno le difficoltà, quanto dunque le speranze. “Un diabetico su due si sente abbandonato dal Servizio Sanitario Nazionale, e un paziente su tre si sente depresso”, nota Gianni Lamenza, presidente dell’Associazione Diabete Italia. Nella depressione o nell’incuranza, poi, molti non aderiscono alle cure. “L’accesso alla terapia è un diritto ma anche un dovere, se non lo si fa si reca un danno incommensurabile a se stessi e alla propria famiglia”, nota ancora il Diabete Forum. Terapia che oggi è a portata di mano molto più di ieri. “Le nuove terapie hanno migliorato la qualità della vita dei pazienti, e i pazienti collaborano di più”, sottolinea l’ordinario Paolo Pozzilli, dell’Università Campus Biomedico di Roma. E insomma molto si muove e molto si è già mosso. Le città, teatro principale della malattia, possono essere ben altro, dal punto di vista non solo medico, ma anche ecologico e aggregativo. Per volontà di noi tutti insieme, e di ognuno di noi.

Articoli Correlati

x