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Il gelato fa bene alla salute, dicono i produttori, e in fondo dicono bene, a condizione naturalmente di non esagerare.

Il gelato fa bene alla salute, dicono i produttori, e in fondo dicono bene, a condizione naturalmente di non esagerare. Ci sono anche nella storia recente perfino involontari testimonial istituzionali, quali Matteo Renzi o il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson (immortalati a leccarsi gioiosamente l’ambita merenda), ma è soprattutto chi ha figli a sapere per bene quanto il porre limiti al suo consumo possa rappresentare una delle battaglie più difficili. Sta di fatto che adesso, tra celebrazioni e precauzioni, arriva l’annuncio del curioso esito di una ricerca scientifica, che ne rilancerebbe i benefici di salute addirittura a colazione. E a raccontarlo non è qualche industria dolciaria italiana, bensì un gruppo di scienziati giapponesi.

Lo studio è stato coordinato dal professor Yoshihiko Koga, “psico-fisiologo” all’Ospedale Universitario Kyorin di Tokyo, che, tramite una serie di test cognitivi, ha misurato l’effetto di tre cucchiai di gelato somministrati alla prima colazione sulle funzioni mentali dei partecipanti, confrontandole con le capacità dimostrate da un secondo gruppo viceversa deprivato della piacevole pietanza.

L’esito è stato quello di una vistosa differenza nei risultati dei test, in favore dei mangiatori di gelato. Di più, durante la prova, è stato riscontrato in questi ultimi un aumento delle cosiddette “onde cerebrali alfa”, che sono associate alla concentrazione, alla coordinazione e al rilassamento mentale.

Ora, sulle ragioni di tale effetto (di apparente interesse specie per lo studio delle malattie cognitive) permane il mistero, come riconoscono gli stessi studiosi nipponici, e non manca un sano scetticismo e ironia nel resto del mondo scientifico. “Forse la differenza è provocata dall’atto di fare o meno colazione”, il caustico commento di una scienziata britannica consultata dal quotidiano Telegraph. Ironie (legittime) a parte, si potrebbe ipotizzare un’azione di “risveglio” cerebrale innescata semplicemente dal freddo. Invece no, perché tale ipotesi è stata già neutralizzata ripetendo il test e sostituendo il gelato con il consumo di acqua molto fredda, il che non ha portato affatto agli stessi risultati.

Sul mistero possono dunque scatenarsi i nutrizionisti e gli altri studiosi, alla ricerca di un ingrediente o l’altro o di qualche strana alchimia attivata dalla peculiare ricetta. O forse c’è più banalmente dell’altro, una sorta di “effetto placebo” innescato dal gelato, ossia dal piacere di consumarlo, con quel che può portare per il nostro benessere psico-fisico una semplice soddisfazione culinaria. Fosse anche solo questo, ci dice qualcosa. Ci ricorda che la tavola, tra consigli e spauracchi, tra imperativi sugli eccessi e sui difetti di consumo, è e deve rimanere una fonte di piacere. Lo dicono non solo gli scienziati giapponesi, ma il sano istinto biologico di ognuno di noi.

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