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C’è la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia. Ma alla nota triade la lotta ai tumori può ora aggiungere una nuova freccia al proprio arco. Si tratta dell’immunoterapia.

C’è la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia. Ma alla nota triade la lotta ai tumori può ora aggiungere una nuova freccia al proprio arco. Si tratta dell’immunoterapia, e rappresenta un nuovo, meno invasivo e sempre più efficace orizzonte terapeutico, che si alimenta a ritmo incalzante di novità e riscontri promettenti dal mondo della ricerca, anche in Italia.

Il tema è drammaticamente aperto, a iniziare dal tumore ai polmoni, su cui si conteggiano ogni giorno oltre 110 nuove diagnosi solo nel nostro paese, e nell’80% dei casi la ragione è riconducibile al fumo. Come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, anche pochissime sigarette possono farne impennare i rischi, ed è una cattiva abitudine che purtroppo, anziché diminuire, coinvolge ancora tantissimi giovani, con una menzione particolare per il gentil sesso. Quasi un quarto delle donne italiane è tabagista, con la conseguenza che tra il 1999 e il 2011 l’incidenza del carcinoma al polmone è aumentata per loro del 34%, mentre è diminuita di un quinto tra gli uomini.

La scienza comunque si muove, su questo terreno sembra farlo rapidamente, anche in relazione all’uso combinato di più anticorpi, com’è emerso tra l’altro all’ultimo Congresso, tenutosi a Copenhagen, della Società Europea di Oncologia Medica. Lì è stato presentato ad esempio l’esito di un esperimento sulla combinazione di “nivolumab” e “ipilimumab”, con tassi di risposta obiettiva calcolati al 43%, il doppio di quanto riscontrato con l’impiego di un solo componente. “Si sta concretizzando la possibilità di evitare la chemioterapia e avere accesso a farmaci caratterizzati da una tollerabilità migliore”, commenta il professor Federico Cappuzzo, direttore del reparto Oncologia all’Ospedale di Ravenna.

Ancora, a Milano, da una collaborazione tra l’Università Statale e l’Istituto nazionale di genetica molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi, si è scoperto che alcune cellule del sistema immunitario, le cosiddette “T-regolatorie”, crescono in presenza del tumore anche al di fuori delle cellule tumorali stesse, ed è una risposta che inibisce la stessa risposta immunitaria e può innescare effetti collaterali, il che spalanca la ricerca sul nodo-chiave della loro neutralizzazione. Altri, a Siena, stanno studiando tra l’altro un’associazione con la terapia “epigenetica”, che agisce modificando il Dna stesso delle cellule malate.

La strada è dunque tracciata, con esiti promettenti. E’ quella della costruzione di nuovi anticorpi immunoterapeutici (e magari, appunto, della combinazione di diversi) che, come spiega dice Michele Maio, direttore dell’Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena “non hanno nessuna necessità di raggiungere il tumore perché il loro bersaglio è sulle cellule del sistema immunitario”. Anche qui, comunque, la differenza viene fatta dalla tempistica della diagnosi. Le possibilità di guarigione mutano radicalmente se si interviene all’inizio o alla fine della terapia e, questo, si ricordi sin d’ora, riguarda anche i nuovi incoraggianti trattamenti.

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