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Si chiama Binge Eating Disorder o disturbo da alimentazione incontrollata, una malattia contro la quale ci sono pochissime opzioni terapeutiche efficaci. Uno studio dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università di Camerino ha portato all’identificazione di una molecola, chiamata “oleoiletanolamide” (OEA), che potrebbe rappresentare un nuovo strumento farmacologico per prevenire e contrastare questo comune disturbo alimentare. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Neuropsychopharmacology.



Il Binge Eating Disorder è caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate fuori controllo, analoghe a quelle della bulimia, non seguiti da atti compensatori o di eliminazione, come l’induzione del vomito o l’auto-somministrazione di lassativi. Chi ne è affetto sviluppa nel tempo obesità grave, oltre a un marcato disagio psicologico, caratterizzato da depressione, ansia, bassa autostima o altri problemi che possono influenzare notevolmente la qualità della vita. I trattamenti più significativi e attualmente disponibili per il Binge Eating Disorder prevedono una combinazione di psicoterapia e farmacoterapia, quest'ultima generalmente basata su farmaci antidepressivi. Tuttavia, il fatto che il tasso di ricaduta sia ancora molto elevato evidenzia la necessità di individuare strategie più efficaci.

La molecola identificata dai ricercatori italiani, OEA, è di gran interesse scientifico per il suo ruolo ben caratterizzato come segnale di sazietà per il cervello e come regolatore del metabolismo, soprattutto quello dei grassi. “Oggi sappiamo – spiegano Adele Romano della Sapienza e Maria Vittoria Micioni Di Bonaventura dell'Università di Camerino, entrambe primi co-autori dello studio – che l’OEA è in grado di prevenire lo sviluppo di un comportamento alimentare anomalo, di tipo binge, e agisce modulando l’attività di circuiti cerebrali che rispondono alle proprietà piacevoli del cibo e/o all'esposizione a una condizione stressante”. I ricercatori concludono: “Le prove scientifiche che abbiamo fornito sono state ottenute in un modello sperimentale di BED (Binge Eating Disorder), sviluppato dal team di Carlo Cifani, e sebbene debbano essere confermate in pazienti affetti da BED, fanno ben sperare che l'OEA possa essere effettivamente un nuovo potenziale alleato per la prevenzione o la cura dei disturbi del comportamento alimentare”.

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