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La stagione delle allergie inizia ogni anno sempre un po' prima e tende a essere più duratura. Uno studio condotto dagli scienziati della TechnischeUniversität München, in Germania, ha rilevato che, a causa delle alterazioni della temperature provocate dai cambiamenti climatici, il periodo dell’anno associato alle manifestazioni allergiche comincia anticipatamente. Insomma, stando ai risultati pubblicati sulla rivista Frontiers in Allergy, potremmo già da ora cominciare a starnutire e ad avere gli occhi rossi per i pollini.

“Le temperature più elevate – spiega Annette Menzel, autrice dello studio – anticipano le fioriture, mentre i crescenti livelli di anidride carbonica in atmosfera provocano la produzione di più polline”. I ricercatori hanno analizzato la diffusione del polline in Baviera, in Germania, in modo da valutare le tempistiche associate all’inizio della stagione delle allergie e il momento dell’anno in cui si verifica. Il gruppo di ricerca ha utilizzato sei stazioni di monitoraggio presenti nella regione per raccogliere i dati. “Alcuni alberi, come arbusti di nocciolo e ontani – dice Ye Yuan, collega e coautore di Menzel – hanno anticipato l’inizio della stagione del polline di circa due giorni ogni anno dal 1987 al 2017, mentre altre specie, come betulle e frassini, hanno anticipato il periodo mediamente di 0,5 giorni ogni anno”. Gli autori sottolineano che il polline può viaggiare per centinaia di chilometri, e con il cambiamento dei modelli meteorologici e la distribuzione alterata delle specie è possibile che le persone siano esposte a un numero crescente di tipologie di polline, anche inusuali per le aree specifiche.

“Il nostro lavoro si concentra sui trasporti pre-stagionali – riportano gli scienziati – per cui, se il polline di una determinata specie era presente nella stazione di monitoraggio ma la specie arborea non fioriva per almeno altri dieci giorni, il polline veniva considerato non endemico”. Stando alle misurazioni del team, pertanto, il trasporto di polline pre-stagionale potrebbe essere un fenomeno abbastanza comune, osservato nel 66 per cento dei casi analizzati. “Sulla base di quanto stimato sulla base delle osservazioni sulla fioritura – commenta Menzel – la stagione dei pollini potrebbe essere anche più lunga di quanto precedentemente considerato. Il trasporto a lunga distanza, quindi, potrebbe influenzare significativamente la salute umana locale”. Gli autori precisano che lo studio non ha tracciato la distanza totale coperta dal polline, ma che l’analisi fornisce una chiave fondamentale per la comprensione dei modelli annuali della stagione del polline. “Le prossime ricerche – conclude Yuan – dovrebbero tenere conto degli scenari di cambiamento climatico e delle modifiche nell’uso del suolo. Credo che anche la collaborazione da parte dei cittadini e degli amatori potrebbe contribuire alla raccolta dei dati e allo sviluppo futuro di metodi di approccio più efficaci”.

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