Un alimento troppo dolce potrebbe nascondere una sorpresa amara. Non solo per la linea, ma anche a livello comportamentale. Uno studio dell’Università del Colorado suggerisce che il consumo di cibi addolciti con il fruttosio, lo zucchero più dolce presente nella maggior parte dei frutti zuccherini, potrebbe alimentare l'aggressività e contribuire a favorire i disturbi di iperattività. I risultati, pubblicati sulla rivista Evolution and Human Behaviour, fanno luce su quello che potrebbe essere un inaspettato effetto di una dieta ricca di fruttosio.
Una nuova proteina, chiamata opsina MCO1, potrebbe essere alla base di una nuova terapia genica che si spera in futuro possa curare la cecità. Un gruppo di ricercatori americani del National Eye Institute, parte del National Institutes of Health, ha dimostrato che opsina MCO1, una molecola sensibile alla luce, è stata in grado di ripristinare la vista nei topi da laboratorio ciechi quando si è attaccata alle cellule bipolari della retina. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Gene Therapy, porterà a una sperimentazione clinica negli Stati Uniti che dovrebbe partire as opera dell'azienda Nanoscope LLC entro la fine dell’anno.
Il microbiota potrebbe avere un ruolo determinante nell'insorgenza dell'emicrania, che è ritenuta la prima causa di disabilità tra gli individui di età inferiore ai 50 anni dalla Global Burden of Disease. Oggi sono numerosi gli studi che mostrano che un numero elevato di disturbi gastrointestinali può essere collegato al verificarsi dell'emicrania, suggerendo un ruolo chiave del microbiota, cioè l'insieme di quei batteri “buoni” che convivono con l'uomo nel suo intestino, nell'insorgere dell'emicrania attraverso l'asse intestino-cervello. Uno studio della South China University of Technology, ad esempio, dimostra che nei pazienti con emicrania la composizione del microbiota è meno varia, in termini sia di genere che di specie. La scoperta, pubblicata sulla rivista Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, mostra come l'uso di probiotici che ripristino l'equilibrio tra specie batteriche differenti, ricostruiscano l’integrità della barriera intestinale e allo stesso tempo rappresentino un valido aiuto in molte forme di emicrania.
Una sola goccia di sangue. E' questo quanto basta a una nuova e più evoluta tecnica per la biopsia liquida per rilevare il cancro. A metterla a punto è stato un gruppo di ricercatori dell'Università di Catania, dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e dell'Università di Parma, nell'ambito del progetto europeo “Ultraplacad”, finanziato dalla Commissione Europea all'interno del programma quadro Horizon 2020. La nuova biopsia liquida, presentata sulla rivista Biosensors and Bioelectronics, sfrutta le proprietà della nanofotonica per individuare il DNA associato alle cellule del tumore. Questo renderebbe la procedura più semplice, più economica e ancora meno invasiva
Potremmo definirli “tatuaggi intelligenti” perché è questo l'effetto che fanno a prima vista. Ma in realtà sono biosensori che possono essere stampati direttamente sulla pelle con lo scopo di misurare diversi parametri: dalla temperatura all'umidità fino al livello di ossigenazione del sangue e all'attività cardiaca. A metterli a punto è stato un gruppo di ricercatori coordinato da Huanyu Cheng dell’Università di Stato della Pennsylvania, in collaborazione con l’Istituto cinese di tecnologia Harbin. Questi innovativi biosensori, descritti in un articolo pubblicato sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces, rappresentano un importante passo verso il futuro dei computer indossabili.
Grazie alla ricerca sul nuovo coronavirus sono stati individuati nuovi marcatori tumorali e di altre comuni patologie. Infatti, i recettori di Sars-CoV-2, ossia le molecole che regolano l'ingresso del virus e che sono distribuiti in vari organi e tessuti, sono anche gli stessi che si trovano associati ad alcuni tipi di tumore, come pure a molte malattie quali il diabete, e le patologie cardiovascolari, cioè le principali comorbidità più spesso riscontrate nei pazienti affetti da Covid-19. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori dell'Istituto superiore di sanità (Iss), dell'IDI-IRCCS di Roma e dell'Istituto di scienze dell'alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Isa-Cnr) di Avellino, in uno studio pubblicato sulla rivista FEBS Open Bio. I risultati aiuterebbero a spiegare perchè alcune persone sviluppano una forma grave dell'infezione Covid-19.
Passi in avanti nell'utilizzo dei nanomateriali per la cura del cancro. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova ha infatti scoperto che nanoparticelle inorganiche a base di una lega di oro e ferro, due elementi biocompatibili e quindi particolarmente adatti per applicazioni in ambito biomedico, riescono a biodegradarsi spontaneamente negli organismi viventi. Si tratta di una proprietà, descritta sulla rivista ACS Nano, che consente di progettare nuove terapie più efficaci e sicure contro i tumori. Le nanoparticelle riescono ad essere efficaci perché riescono a centrare il loro bersaglio senza la necessità di sovradosaggi, ai quali sono associati pericolosi effetti collaterali. Tuttavia, tendono a permanere nell’organismo per un tempo indefinito, con importanti rischi per la salute dei pazienti. Idealmente quindi, le nanomedicine dovrebbero comportarsi come un materiale 4D, sviluppando nanoparticelle per la diagnosi (ad esempio tramite risonanza magnetica o tac) e la terapia del cancro che abbiano come requisito principale la capacità di biodegradarsi, di non accumularsi nel corpo, limitandone in questo modo gli effetti collaterali.
Arriva una nuova arma per combattere il dolore causato dall'endometriosi, una patologia che colpisce circa 3 milioni di donne in Italia. Si tratta di un integratore, messo a punto dalla Fondazione italiana endometriosi (https://www.endometriosi.it/la-fondazione/), che garantisce un’azione antinfiammatoria potenziata, permettendo di abbattere i principali sintomi della malattia, cioè infiammazione, crampi, pancia gonfia e stanchezza cronica. Se infatti una dieta equilibrata contribuisce alla riduzione dei dolori pelvici, con l’assunzione del più recente integratore, associato a una corretta alimentazione, il dolore pare possa scomparire, restituendo una buona qualità della vita sul fronte lavorativo, familiare e sociale.
In futuro la strategia migliore per curare il diabete non la sceglierà il medico. O meglio, non lo farà da solo. Uno studio coordinato da Carlo Bruno Giorda, direttore della Struttura Complessa di Malattie metaboliche e Diabetologia dell’Ospedale Maggiore di Chieri, suggerisce che l'Intelligenza artificiale potrà aiutare gli specialisti a capire quali siano i fattori chiave per il raggiungimento del duplice obiettivo “controllo-metabolico” e “nessun aumento di peso” nel diabete di tipo 2. Il metodo e i risultati sono stati descritti sul British Medical Journal - Open Diabetes Research & Care.
I nanomateriali potrebbero aiutarci a “ricucire” le lesioni al midollo spinale, ristabilendo le originarie capacità motorie. Un gruppo di ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) e dell’Università di Trieste ha utilizzato per la prima volta impianti di nanomateriali in animali sottoposti a lesione spinale, osservando la ricrescita delle fibre nervose e il ripristino delle funzionalità motorie. La ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, dimostra così le potenzialità di approcci terapeutici che sfruttino le proprietà meccaniche ed elettriche di scaffold rigenerativi per trattare la zona lesionata.
Anche se le tecnologie digitali hanno migliorato significativamente le nostre vite, abbiamo ancora bisogno delle care vecchie carta e penna. Uno studio della Norwegian University of Science and Technology ha dimostrato infatti che la tradizionale scrittura a mano aiuta a imparare e a memorizzare di più e meglio. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Psychology e potrebbero avere implicazioni importanti in una società moderna, come la nostra, in cui la scrittura tradizionale viene man mano soppiantata da quella digitale.
Il cannabidiolo puro, uno dei tanti componenti della cannabis, riduce la frequenza delle crisi epilettiche fino al 54 per cento nei pazienti affetti da Sindrome di Dravet o di Lennox-Gastaut con epilessia farmaco-resistente, ed il suo effetto è riscontrabile anche nel lungo periodo. A presentare questa nuova alternativa al trattamento dell'epilessia sono stati gli esperti che si sono riuniti settimana scorsa in occasione del 43esimo congresso nazionale della Lega Italiana contro l’Epilessia (LICE).
In futuro sarà possibile rimediare ai danni che le malattie cardiovascolari infliggono alle nostre arterie, prevenendo eventi letali. Come? Andando a sostituirle con vasi sanguigni elettronici, fatti di metallo e plastica. A metterli a punto è stato Xingyu Jiang della Southern University of Science and Technology di Shenzhen, in Cina, e il suo team di ricerca in uno studio pubblicato sulla rivista Matter. In particolare, i ricercatori hanno creato un vaso sanguigno artificiale stampando uno strato di inchiostro metallico liquido, contenente gallio e indio, su una membrana polimerica flessibile e biodegradabile. Il metallo liquido funziona come un elettrodo. Hanno quindi arrotolato il polimero in un cilindro per creare un vaso sanguigno artificiale largo circa 2 millimetri.
La stimolazione del midollo spinale potrebbe essere di grande aiuto per i pazienti con l'Alzheimer. Uno studio della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, condotto in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, ha evidenziato i vantaggi di supportare il training cognitivo in pazienti con Alzheimer moderato con la cosiddetta Stimolazione Transpinale a Corrente Diretta (TsDCS). Lo studio ha coinvolto 16 persone con malattia di Alzheimer con sintomi di media gravità e difficoltà cognitive nelle abilità esecutive. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Alzheimer’s Disease.
In alcuni pazienti affetti da ipertensione arteriosa il danno alle strutture nervose inizia molto presto, cioè prima che siano comparsi segni clinici di deterioramento cognitivo o che la risonanza magnetica tradizionale possa identificare alterazioni evidenti a carico del cervello. Ora una ricerca condotta dal Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’I.R.C.C.S. Neuromed evidenzia ora come sia possibile individuare precocemente le alterazioni nervose che potranno portare alla demenza vascolare. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Hypertension.
Un nuovo target per contrastare il rigetto d'organo in seguito a un trapianto di rene. È esattamente quello che hanno individuato i medici e ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS in uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Journal of the American Society of Nephrology. In particolare, gli studiosi hanno scoperto che, nel corso della forma più comune di rigetto del rene trapiantato, interviene una sorta di reazione allergica all'organo sostituito, associata a una aumentata produzione di interferone-alfa. Il risultato dello studio, che ha visti la collaborazione delle università di Bari, Foggia e Padova. potrebbe aprire la strada a nuove terapie anti-rigetto utilizzando farmaci già in uso clinico con altre indicazioni.
L'autismo è come un enorme puzzle e grazie a due ricerche scientifiche ne sono state svelate nuove tessere. Uno studio dell’Università di Rennes, in Francia, ha dimostrato che i bambini affetti da questo disturbo si trovano più a loro agio con i gatti che con i cani. Questo perchè, stando a quanto pubblicato sulla rivista rivista Frontiers in Psychology, lo sguardo dei felini sarebbe meno "invadente" e più discreto rispetto a quello di Fido. Una scoperta, questa, che potrebbe aiutare a stimolare nel modo giusto, magari con il contributo di un gatto, le interazioni sociali dei bambini. Invece, uno studio del Karolinska Institutet, in Svezia, ha individuato un nuovo potenziale marker per la diagnosi dell'autismo. Stanto a quanto riportato sulla rivista Molecular Psychiatry, le persone con disturbo dello spettro autistico presentano livelli più bassi di una proteina che regola la quantità di serotonina nel cervello.
Un arbusto originario delle pendici montuose del Cile e dell'Argentina potrebbe contribuire a scongiurare la tanto temuta Apocalisse degli antibiotici, il giorno in cui nessun antibiotico potrà sconfiggere i batteri. La Fabiana ramulosa, infatti, contiene una molecola che sembra in grado di "disarmare" i batteri dinanzi al farmaco contro cui hanno sviluppato la resistenza. A scoprirlo è stato uno studio condotto da un team di chimici, bioinformatici, microbiologi e biochimici di varie università e centri di ricerca, coordinati dall'Università Sapienza di Roma. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Journal of Antimicrobial Chemotherapy, ha visto il supporto del MIUR, della Fondazione Fibrosi Cistica e dell’Istituto Pasteur Fondazione Cenci Bolognetti.
La proteina hMena è un marcatore di progressione dei tumori del polmone e del pancreas. A spiegarne il meccanismo di azione è stato studio del gruppo di Paola Nisticò, dell’Unità di Immunologia e Immunoterapia dell’IRCCS Regina Elena, pubblicato sulla rivista Embo Reports. I ricercatori, sostenuti dalla Fondazione AIRC, hanno svelato un nuovo meccanismo per cui hMena e una sua forma proteica (hMena deltav6) caratterizzano tumori del polmone e del pancreas a maggiore aggressività e peggiore prognosi. Questo perché hMena attiva una “comunicazione pericolosa” tra cellule tumorali e cellule presenti nel microambiente, i fibroblasti, favorendo aggressività e resistenza all'immunoterapia.
Una singola iniezione al cervello di una proteina nota come fattore di crescita dei fibroblasti 1, o FGF1, può riportare i livelli di zucchero nel sangue alla normalità per settimane o mesi nei topolini diabetici. E' quanto hanno verificato un gruppo di ricercatori dell'Università di Washington e dell’Università di Copenhagen in due studi complementari, pubblicati sulle riviste Nature Communications e Nature Metabolism. Lo scopo degli studiosi era quello di comprendere il modo in cui FGF1 può influenzare la risposta del cervello al diabete.