Non è molto frequente, ma può succedere che un paziente "resusciti" anche per mezz'ora non mostrava alcun segno di vita. E' la cosiddetta sidrome di Lazzaro, le cui cause sono ancora oggi sconosciute. A scostare, seppure parzialmente, il velo di mistero di questa sindrome è stato uno studio condotto da un team internazionale di ricercatori della University Hospitals Morecambe Bay Trust, dell'Ospedale universitario di Losanna, di Eurac Research, le Paracelsus Medizinische Privatuniversität di Salisburgo. i risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Resuscitation". In genere, succede che un paziente in arresto cardiaco viene rianimato dal medico d’emergenza. Il cuore non batte più, non ci sono più segni di vita. L’elettrocardiogramma rimanda solo una linea piatta o piccole fibrillazioni: la rianimazione non funziona. Dopo 20-30 minuti di tentativi il medico interrompe le manovre di rianimazione come previsto dalle linee guida. Improvvisamente, alcuni minuti dopo e senza alcun intervento esterno, il paziente mostra segni di vita: respira, ricompare il battito. È un fenomeno, quello della sindrome di Lazzaro, che hanno sperimentato molti medici rianimatori.
Una retina liquida in grado di restituire parzialmente la vista ai pazienti affetti da malattie come la retinite pigmentosa o la maculopatia. E' la straordinaria protesi artificiale messa a punto dagli scienziati dell’Istituto italiano di tecnologia(IIT) di Genova, testata con successo sui topi. La nuova protesi retinica, descritta in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology, si basa su una sostanza acquosa in nanoparticelle fotoattive che possono sostituire i fotorecettori danneggiati. “Il nostro lavoro - afferma Fabio Benfenati, del centro IIT Synaptic Neuroscience and Technology - rappresenta un’evoluzione del modello planare della retina artificiale che abbiamo realizzato nel 2017”.
Nell'uomo l'HPV non è solo una spiacevole infezione. Al rischio di condilomi e tumori come conseguenza di un'infezione genitale da papilloma virus (HPV), si aggiunge anche la minaccia dell'infertilità. E con la bella stagione i rischi aumentano: con i rapporti sessuali non protetti, più frequenti in estate, crescono anche le probabilità d infezione. Lo ricorda Salvatore Sansalone Specialista in Andrologia all'Università di Tor Vergata a Roma. “La stagione estiva e quella in cui si vedono moltiplicare esponenzialmente le infezioni a causa di comportamenti sessuali disinvolti e rapporti non protetti”, dice. Il perchè a risentirne è anche la capacità dell'uomo di concepire è presto detto. “Il virus dell' HPV si lega agli spermatozoi, riducendone la capacità fecondante" spiega Sansalone.
Si stima che il 65-70% degli uomini contrae una infezione nel corso della vita, e molti studi hanno ormai verificato la presenza del DNA del virus nel liquido seminale Le conseguenze dell’infezione, secondo gli esperti, possono essere una lesione asintomatica in cui il maschio è un portatore sano che funge da serbatoio trasmettendolo alla partner, oppure una lesione manifesta con condilomi, tumori e papillomi faringei (10,1% nell’uomo vs il 3,4% nelle donne e nel 15-20% di quelli che non riescono a procreare). L’HPV è stato rilevato nel liquido seminale e il circa il 10% dei maschi sessualmente attivi, il virus ha la capacità di legarsi agli spermatozoi influenzando negativamente la vitalità spermatica, la morfologia, la motilità e aumentando la frammentazione del loro DNA. Secondo uno studio apparso su Biomedical Research su 229 campioni di liquido seminale si è proposto di ricercare la presenza di DNA del virus che è stato riscontrato nel 16,6% dei casi: anche quelli con con un solo ceppo a basso rischio presentavano una viscosità alterata mentre quelli positivi a più ceppi presentavano ipospermia e altri fattori prognostici negativi.
Mentre un’altra ricerca ha riscontrato una prevalenza di DNA del Papillomavirus nel liquido seminale nel 11,4% nella popolazione generale e nel 20,4% dei pazienti inferitili. “Già lo scorso anno l’OMS aveva diffuso i numeri delle Infezioni sessuali calcolandone un milione di casi ogni giorno nel mondo (nella fascia di età tra i 18 e i 49 anni e senza includere proprio l’infezione da HPV) ma sappiamo che in estate i numeri aumentano e non solo tra i giovanissimi”, dice Sansalone. Da un punto di vista anagrafico, sono i giovani, in generale, i principali protagonisti del sesso a rischio durante i mesi estivi, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 30 anni. Se il rapporto non è consumato con il partner abituale il preservativo, sottolinea l'esperto, è indispensabile sia nei rapporti anali che vaginali, ma è fortemente consigliato anche nei rapporti orali, che sono ad alto rischio per alcune infezioni come la sifilide e la gonorrea.
Non c’è paese al mondo, grande o piccolo, ricco o povero, in cui lo smog non sia un problema per la salute dei cittadini. Soprattutto per il loro cuore. L’esposizione a lungo termine alle polveri sottili contribuisce in maniera determinante a malattie cardiache e a decessi tanto che il 14 per cento di questi eventi potrebbero essere causati proprio dallo smog. Sono i dati emersi a valle di un ampio studio guidato da un gruppo di ricercatori della Oregon State University
che è stato appena pubblicato sulla rivista The Lancet Planetary Health.
Lo studio ha coinvolto 157.436 adulti tra 35 e 70 anni in 21 paesi, il cui stato di salute è stato monitorato dal 2003 al 2018. Nel corso del periodo di monitoraggio sono stati registrati 3219 decessi attribuibili a malattie cardiovascolari e 9.152 complessivamente hanno avuto un evento cardiovascolare. I ricercatori hanno monitorato i livelli di PM 2,5, particelle di fuliggine abbastanza piccole da entrare nei polmoni e passare nel flusso sanguigno. Il livello medio nel corso dello studio è stato di 47.5 microgrammi per metro cubo, ben al di sopra del limite di 12 considerato sicuro dall'Amministrazione per la protezione ambientale degli Stati Uniti.
Correva tra i prati con una capretta, proprio come faceva da piccola. E' questo quello che una donna di 82 anni ricorda dell'eccezionale intervento a cui è stata sottoposta senza anestesia, ma con l'ipnosi. L'operazione, effettuata nella sala ibrida dell'ospedale Niguarda di Milano, consiste nella sostituzione di una valvola cardiaca per via percutanea durato poco più di un’ora. Normalmente questo intervento richiede la somministrazione di farmaci sedativi. Si tratta infatti di una procedura mini-invasiva con cateteri sottilissimi “che viaggiano all’interno” del corpo con al loro interno una valvola di bio-materiale auto-espandibile.
Il liquido seminale potrebbe essere una vera e propria sentinella per il rischio Covid-19. Un gruppo di ricercatori italiani ha scoperto infatti che la valutazione della qualità seminale per la rilevazione precoce del rischio di Covid-19 rappresenta un possibile nuovo approccio metodologico in sanità pubblica. Il lavoro, pubblicato in preprint ha preso in esame la sovrapposizione sorprendente fra aree a maggiore tasso di mortalità al mondo per Covid-19, tasso di inquinamento atmosferico e declino della qualità del seme negli ultimi decenni. Ebbene, i risultati sembrano indicare come la maggiore suscettibilità di una data popolazione ad insulti patogeni, compreso il coronavirus, possa essere valutato attraverso la qualità del seme maschile.
L'acqua potrebbe fare la differenza nel recupero da un ictus cerebrale. E' quella che si chiama idrochinesiterapia, una forma di riabilitazione in acqua che si effettua per diverse patologie. In particolare, la Fondazione Santa Lucia IRCCS ha validato un nuovo protocollo di idrochinesiterapia che, rispetto alla terapia in acqua tradizionale, offre un incremento del 30 per cento nel livello di recupero delle funzioni motorie e dell’equilibrio. I pazienti che hanno partecipato al nuovo protocollo, denominato “Approccio Propedeutico Sequenziale”, hanno recuperato maggiormente rispetto ai pazienti del gruppo di controllo, riuscendo a camminare senza la necessità di un ausilio e migliorando l’equilibrio con una riduzione del rischio di cadute da “medio” a “basso”.
Il trial clinico, diretto da Marco Tramontano e pubblicato sulla rivista Frontiers in Neurology, ha coinvolto 33 pazienti tra i 25 e gli 80 anni, colpiti da ictus e con diagnosi di emiplegia, cioè deficit dovuto ad una lesione neurologica che paralizza un lato del corpo. I pazienti sono stati seguiti con trattamento ambulatoriale 2 volte a settimana. Sia il gruppo di pazienti inclusi nel nuovo protocollo che il gruppo di controllo, hanno riscontrato un miglioramento sostanziale delle loro condizioni fisiche, misurate attraverso numerosi indici tra cui lo Stroke Specific Quality Of Life Scale (SS-QoL) e il Barthel Index Modificato (BIM). Nel gruppo sottoposto al nuovo protocollo terapeutico si è registrato un incremento medio del 30% superiore al gruppo di controllo su tutti gli indici, dimostrando la validità del metodo applicato. Il risultato è stato confermato anche nella verifica di follow-up ad un mese dal termine di entrambi i protocolli di idrochinesiterapia.
L’idrochinesiterapia è un approccio terapeutico che si avvale delle proprietà fisiche dell’acqua per incrementare l’efficacia delle terapie incluse nel percorso di neuroriabilitazione. Questo approccio terapeutico, per alcune tipologie di pazienti, è da tempo considerato efficace soprattutto se somministrato in modo complementare alla terapia in palestra. L’accesso ad una piscina di idrochinesiterapia è per questo inserito tra gli standard necessari per gli ospedali di neuroriabilitazione. “Lo studio ha diversi risvolti clinici rilevanti", spiega Tramontano. “Il primo è che un approccio sequenziale e propedeutico è applicabile anche in ambiente acquatico e non solo in Palestra, il secondo è che in entrambi i gruppi la spasticità non è aumentata ma bensì ridotta alla fine della sperimentazione confermando gli effetti terapeutici dell’idrochinesi terapia sull’ipertono", conclude.
Ancora un nuovo record per il nostro sistema trapianti. Per la prima volta al mondo è stata ricostruita la caviglia di una bambina di 9 anni, affetta da una rarissima forma di sarcoma, usando un osso da donatore e un chiodo allungabile in modo da permettere la regolare crescita dell’arto senza necessità di ulteriori interventi. Questo nuovo ed eccezionale intervento è stato effettuato presso l'ospedale Infantile Regina Margherita di Torino da un’équipe di chirurghi ortopedici della Città della della Salute di Torino e dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Grazie all’intervento, la piccola paziente potrà tornare a camminare.
Per una malattia incurabile come la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) arrivare a una diagnosi precocemente è fondamentale per garantire ai pazienti un accesso tempestivo ai trattamenti. Per questo la scoperta di un nuovo biomarcatore, rilevabile dalla saliva, rappresenta un traguardo importante nella lotta alla Sla. A farla è stato un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi e dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano in uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
La ricerca medica non si limita soltanto alla creazione di farmaci nuovi, ma si concentra anche sulla messa a punto di metodi produttivi più economici ed efficienti. E' per questo che un gruppo di ricerca guidato da Goetz Laible di AgResearch, un istituto di ricerca situato in Nuova Zelanda, ha modificato geneticamente delle capre: dal latte di questi animali "ingegnerizzati" è possibile ottenere farmaci costosi. In uno studio pubblicato su bioRxix, i ricercatori hanno manipolato geneticamente le capre affinché possano produrre nel loro latte un comune ed esoso farmaco anti-cancro, riducendo così i costi di produzione.
Molti dei nuovi farmaci di successo che vengono utilizzati come trattamenti per il cancro sono molto costosi perché sono proteine complesse, chiamate anticorpi monoclonali, notoriamente complicati da produrre. Il farmaco cetuximab usato per il cancro intestinale, ad esempio, è prodotto da cellule di topo che sono state geneticamente progettate per produrre un anticorpo monoclonale specifico. Questo costoso processo di produzione implica che il farmaco, venduto con il nome di Erbitux, abbia sul mercato un costo abbastanza elevati. Nel nuovo studio i ricercatori volevano scoprire se si potesse produrre il cetuximab a un prezzo più basso ingegnerizzando geneticamente le capre in modo da farle produrre il farmaco nel loro latte. Così gli scienziati hanno inserito alcuni geni in embrioni di capra che contenevano le "istruzioni" su come produrre il cetuximab nelle ghiandole mammarie. Gli embrioni sono stati impianti nelle capre femmina che hanno dato alla luce la loro progenie geneticamente modificata cinque mesi dopo.
Ebbene, la progenie era tutta di sesso femminile ed è risultata in grado di produrre circa 10 grammi di cetuximab in ogni litro di latte. "È molto più economico produrre cetuximab negli animali perché le loro ghiandole mammarie possono produrre grandi quantità di proteine", afferma Laible. Inoltre, la manipolazione genetica non sembra influenzare la salute delle capre. Secondo i ricercatori, lo stesso processo potrebbe potenzialmente essere utilizzato per produrre altri farmaci anticorpali monoclonali. Tuttavia, bisogna ancora dimostrare di poter garantire che i farmaci derivati dal latte animale abbiano gli stessi standard e la stessa purezza di quelli prodotti nelle cellule. Il prossimo passo di Laible e dei suoi colleghi sperano è di testare il cetuximab derivato dalle capre negli esseri umani per confermare che sia sicuro ed efficace come il prodotto originale.
C'è un modo per diagnosticare l’encefalopatia traumatica cronica (CTE), una malattia progressiva degenerativa del cervello che può verificarsi dopo un trauma cranico reiterato e che solitamente si rileva solo attraverso la biopsia del tessuto cerebrale post mortem. L'esame proposto è un particolare test di risonanza magnetica che potrebbe rivelarsi utilissimo specialmente per i calciatori, i soggetti più esposti alla CTE. A suggerirlo è stato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Ben-Gurion University of the Negev (BGU) e pubblicato sulla rivista Brain.
C'è una buonissima ragione per evitare la sedentarietà e non ha che fare con la prova costume. O almeno non solo quella. Uno studio dell'Anderson Cancer Center presso la University of Texas ha mostrato infatti che stare troppo seduti aumenta il rischio di sviluppare cancro, mentre sostituire 30 minuti di sedentarietà con attività fisica di livello da lieve a moderato, come per esempio passeggiare normalmente e con passo rapido rispettivamente, riduce il rischio di morte per tumori dall'8% al 31%. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Jama Oncology, confermano l'importanza del movimento fisico nella prevenzione oncologca.
Dal connubio di genetica, virologia e oftalmologia è nato un nuovo approccio che potrebbe in futuro rivelarsi rivoluzionario per il trattamento di alcune gravi malattie oculari. Un gruppo di ricercatori del Trinity College di Dublino e dell'University College London (UCL) ha infatti sviluppato una terapia genica che, si spera, possa portare a una cura contro la retinite pigmentosa, un gruppo di malattie ereditarie della retina che provocano perdita progressiva della vista fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla cecità totale. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Stem Cell Reports.
Sappiamo da tempo che fa bene alle ossa e l'emergenza Covid-19 ci ha ricordato il suo ruolo fondamentale per il sistema immunitario. Ora un'ampia ricerca condotta dall'Università della Finlandia orientale e dall'Università autonoma di Madrid mostra che una buona quantità di vitamina D nell'organismo è utile sia per la prevenzione del cancro sia per la prognosi di alcuni tumori, tra cui quelli del colon e del sangue. I risultati, pubblicati sulla rivista Seminars in Cancer Biology, potrebbero aprire la strada a un nuovo e più attento utilizzo della vitamina D nella prevenzione del cancro.
È possibile sapere in anticipo, cioè prima dell'intervento chirurgico, se un paziente rischia l'occlusione del bypass aortocoronarico impiantato. Un gruppo d ricercatori dell’Unità di Biologia cellulare e molecolare cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino ha infatto identificato un biomarcatore che può fornire al cardiochirurgo informazioni preziose per ottimizzare la terapia farmacologica e quindi il risultato dell'operazione di bypass. Si tratta di un insieme specifico di microvescicole, particelle infinitesimali che vengono rilasciate dalle cellule dei vasi sanguigni e del sangue, che rispecchiamo uno stato di attivazione delle piastrine e di produzione di trombina, due condizioni favorevoli ai processi che portano all’occlusione del bypass. I risultati del lavoro italiano sono stati pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.
Le borracce di alluminio potrebbero non essere così tanto sicure come immaginiamo. Anche se nei limiti di legge, infatti, questo tipo di borracce rilascerebbero nell’acqua che beviamo, tracce di metalli e di altri composti chimici, con possibili conseguenze sulla salute. A scoprirlo è stata una ricerca effettuata dal Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università La Sapienza di Roma, commissionata da Fondazione Acqua. Si tratta di uno studio unico nel suo genere perché incentrato sul rilascio chimico-fisico di elementi dalle borracce, mentre sino ad ora erano stati valutati solo gli aspetti batteriologici.
Le sigarette elettroniche sono tutt'altro che innocue per la nostra bocca. Uno studio della Ohio State University suggerisce infatti che le e-cig potrebbero favorire la comparsa di parodontite anche in assenza di altri fattori di rischio. La parodontite è una malattia delle gengive che colpisce nelle sue forme più gravi oltre 5 milioni di italiani e che, se non curata, può portare alla perdita di denti, oltre ad essere correlata con malattie sistemiche gravi come il diabete e le malattie cardiovascolari. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Sciences Advances.
Ridare la vista a chi vede sempre e solo buio. È l'ambizioso obiettivo di una nuova promettente terapia genica, sviluppata da un gruppo di ricercatori dell'Istituto di Oftalmologia Molecolare e Clinica di Basilea (IOB) e descritta in un articolo pubblicato sulla rivista Science. Gli scienziati sono riusciti a rendere rendere sensibili alcune cellule di retina cieche a una particolare frequenza di luce. In particolare, dopo il trattamento le cellule di retina sono tornate ad essere sensibili alla luce del vicino infrarosso (NIR), una regione dello spettro elettromagnetico nella banda dell'infrarosso.
Il cancro si diffonde riattivando gli stessi meccanismi con cui si sviluppano l'embrione e la placenta. A fare luce sulle strategie da cui originano le metastasi sono stati due studi, entrambi sostenuto dalla Fondazione AIRC e condotte dal gruppo di ricerca guidato da Vincenzo Costanzo, responsabile del laboratorio che studia il metabolismo del DNA presso IFOM (https://www.ifom.eu/it/) e professore di patologia generale dell'Università di Milano. I risultati, pubblicati sulle riviste Nature Communications ed Elife, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di nuove terapie basate sulle risposte immunitarie contro i tumori.
Una rivoluzionaria terapia cellulare per trattare ustioni e gravi difetti cutanei verrà testata in Italia con studi clinici di fase II. L'Agenzia italiana del farmaco, infatti, ha dato il suo via libera al trattamento DenovoSkin che consente di creare in laboratorio, a partire da una piccola biopsia cutanea del paziente, ampi innesti a doppio strato dermo-epidermale da re-impiantare senza rischi di rigetto e con un risultato clinico con cicatrici minime. Le fasi includono studi con bambini e adulti affetti da ustioni o che necessitano di chirurgia ricostruttiva.