È una malattia congenita, la cui origine sarebbe da rinvenire in un disturbo della formazione dell’apparato genitale del feto. A scatenarla sarebbero le sostanze inquinanti a cui si può essere esposti durante la gravidanza e che sono in grado di oltrepassare la placenta. È questa ad oggi la teoria più accreditata nella ricerca delle cause dell’endometriosi, supportata da uno studio scientifico pubblicato dalla Fondazione italiana endometriosi, riportato nel libro “Endometriosis in adolscents: a comprehensive guide to diagnosis and management” (“Endometriosi negli adolescenti: una guida completa alla diagnosi e alla gestione”) di C. H. Nezhat, appena pubblicato negli Stati Uniti. Nel capitolo “La presenza dell’endometriosi nel feto umano” scritto dal presidente della Fondazione italiana endometriosi, Pietro Giulio Signorile, è contenuta la dimostrazione dell’origine di questa patologia, caratterizzata dalla crescita di endometrio al di fuori della cavità uterina: una malattia che colpisce 3 milioni di donne in Italia, provocando forti dolori e infiammazioni.
La stimolazione elettrica transcranica aiuta a ridurre l’accumulo di proteine alla base delle malattie neurodegenerative, come il Parkinson, “ripulendo” i neuroni. A svelare i meccanismi molecolari di questa tecnica è uno studio congiunto tra l'Università Milano-Bicocca, l'Università degli Studi di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e l’Istituto di Elettronica e di Ingegneria dell'Informazione e delle Telecomunicazioni del Consiglio nazionale delle ricerche. I risultati, pubblicati sulla rivista Scientific Reports (https://www.nature.com/articles/s41598-021-81693-8), aprono la strada al trattamento di altre malattie neurodegenerative.
I vaccini hanno salvato milioni e milioni di vite. Più precisamente, dal 2000 al 2019, le vaccinazioni hanno salvato 37 milioni di vite da 10 malattie. Un numero che si stima aumenterà fino a 69 milioni nel 2030. A calcolarlo è stato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, dell'Imperial College London e di altri istituti di ricerca. I risultati, pubblicati sulla rivista The Lancet, si è basato sull'utilizzo di modelli matematici per analizzare l’impatto delle vaccinazioni contro 10 malattie in 98 paesi del mondo a basso-medio reddito. Le 10 malattie di cui è stato studiato l’impatto a seconda della copertura vaccinale sono: virus dell’epatite B, Haemophilus influenzae di tipo B, papillomavirus umano (HPV), encefalite giapponese, morbillo, Neisseria meningitidis sierogruppo A (meningite A), Streptococcuspneumoniae (pneumococco), rotavirus, rosolia, febbre gialla.
Si chiama termoablazione ecoguidata, con laser o radiofrequenza, ed è una nuova tecnica per il trattamento dei tumori papillari della tiroide che consente di evitare la chirurgia e di conservare questo organo prezioso per l’organismo. Messa alla prova all'Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), in collaborazione con l'Università Statale di Milano, questa nuova tecnica rappresenta una valida opzione di trattamento. I dettagli dei risultati sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Endocrinology.
Lo hanno visto con i loro occhi in muscoli coltivati in laboratorio: scariche elettriche che simulano un regime di esercizio fisico contrastano l'infiammazione cronica che può portare ad atrofia muscolare. A condurre gli esperimenti è stato un gruppo di ricercatori americani della Duke University in uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances. I risultati mostrano esattamente in che modo l'attività fisica può contrastare l'infiammazione cronica, responsabile del deperimento dei tessuti.
Per i pazienti con melanoma si apre una nuova e promettente strada nella prevenzione delle recidive. Si tratta di un vaccino antitumorale, chiamato Neovax, che è stato sviluppato da un gruppo di ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute, del Brigham and Women's Hospital, del Broad Institute presso il Massachusetts Institute of Technology e della Harvard University. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Medicine, suggeriscono una protezione dalle recidive lunga almeno 4 anni.
L'anticorpo monoclonale Volociximab è in grado di bloccare lo sviluppo delle metastasi ossee nel tumore al seno. A individuarlo è un innovativo studio internazionale multicentrico, pubblicato sulla rivista Oncogene e condotto da Francesco Pantano dell’Unità di Oncologia medica del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, in collaborazione con l'Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina (Inserm) di Lione, l’Institut Curie di Parigi e l’Università di Amburgo (https://www.uni-hamburg.de/en.html). Grazie ad uno screening esteso effettuato sul genoma di pazienti affetti da tumore della mammella, il team di ricerca ha identificato la proteina integrina alfa5 come
A vederli sembra un vero e proprio “miracolo”: topi paralizzati che ritornano a camminare nuovamente. Ma è la scienza ad aver aperto questa nuova strada per la rigenerazione del midollo spinale lesionato. Più precisamente una terapia genica sviluppata e testata da un gruppo di ricercatori dell'Università della Ruhr di Bochum in Germania. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, riaccendono la speranza di quanti sono costretti a vivere seduti su una sedia a rotelle. “Questo lavoro - dichiara Dietmar Fischer dell'Università della Ruhr di Bochum, autore dello studio - rappresenta una speranza per le 5,4 milioni di persone in tutto il mondo affette da paralisi”.
Se l'allattamento al seno comporta tutta una serie di vantaggi per il bambino lo si deve ad alcuni batteri specifici. Uno studio dell’Università di Birmingham (Regno Unito), sostenuto dalla Fondazione NHS, ha scoperto che il latte materno è in grado di rendere il sistema immunitario più forte grazie ai batteri chiamati Veillonella e Gemella. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Allergy.
Studi precedenti avevano già dimostrato che i bambini che vengono allattati al seno sono meno a rischio di sviluppare asma, obesità e malattie autoimmuni nella vita rispetto a quelli che sono alimentati esclusivamente con latte artificiale. Tuttavia, fino ad ora, i meccanismi immunologici responsabili di questi effetti erano meno noti. Nel nuovo studio britannico, frutto di un progetto di ricerca triennale, sono stati analizzato i dati di 38 madri sane e dei loro bambini. In particolare, gli studiosi hanno esaminato piccole quantità di sangue e campioni di feci raccolte alla nascita al Birmingham Women’s Hospital e poi di nuovo durante le visite domiciliari quando i piccoli avevano tre settimane. Tra questi, 16 dei 38 bambini (42 per cento) sono stati allattati esclusivamente al seno per tutta la durata dello studio, mentre 9 hanno ricevuto alimentazione mista e 13 sono stati alimentati esclusivamente con latte artificiale. In questo modo, i ricercatori hanno scoperto per la prima volta che un tipo specifico di cellule immunitarie, chiamate cellule T regolatorie, aumentano nelle prime tre settimane di vita nei bambini allattati al seno e sono quasi il doppio rispetto ai bambini alimentati con latte artificiale.
Queste cellule controllano anche la risposta immunitaria del bambino contro le cellule materne trasferite con il latte. La ricerca ha mostrato che i batteri Veillonella e Gemella, che supportano la funzione dei linfociti T regolatori, sono più abbondanti nell’intestino di bambini allattati al seno. “L’influenza del tipo di latte ricevuto sullo sviluppo della risposta immunitaria non è stata studiata in precedenza nelle prime settimane di vita”, spiega GergelyToldi, autore principale dello studio. “Prima della nostra ricerca, l’eccezionale importanza e il coinvolgimento precoce di questo specifico tipo di cellula nei bambini allattati al seno erano sconosciuti. Ci auguriamo che questa nuova inestimabile intuizione - aggiunge - porti a un aumento dei tassi di allattamento al seno e vedrà più bambini beneficiare dei vantaggi di ricevere latte materno. Inoltre, speriamo per quei bambini che sono allattati con latte artificiale che questi risultati contribuiscano a ottimizzarne la composizione al fine di sfruttare questi meccanismi immunologici”. E conclude: “Speriamo di approfondire gli studi su questo meccanismo biologico – conclude Toldi – considerando i casi di neonati con patologie o i bambini prematuri che hanno sviluppato complicanze infiammatorie. In questo modo speriamo di contribuire al benessere delle mamme e dei bambini che non possono ricevere il latte materno”.
Ginseng indiano, cardo mariano e fieno greco. E' dalla combinazione di questi tre ingredienti naturali che è nato Kymasin Up, un nuovo integratore alimentare in capsule che ha dimostrato di avere potenzialmente effetti importanti contro la sarcopenia e l'atrofia muscolare. Sviluppato da una collaborazione tra l'Università degli Studi di Perugia e l'azienda Biokymasrl di Anghiari (AR), il nuovo integratore è stato testato in laboratorio in uno studio pubblicato sulla rivista Nutrients.
Dimmi che metabolismo hai e ti dirò il rischio di depressione che corri. E' parafrasando un vecchio detto popolare che si possono sintetizzare i risultati di uno studio condotto dalla University of California San Diego School of Medicine, insieme all'Università Radboud di Nimega (Paesi Bassi). I risultati, pubblicati sulla rivista TranslationalPsychiatry, aprono la strada alla possibilità di utilizzare specifiche molecole come biomarcatori per il disturbo depressivo maggiore.
Nello studio i ricercatori hanno chiesto a 68 soggetti (45 femmine, 23 maschi) con un disturbo depressivo maggiore ricorrente (rMDD) in remissione e senza antidepressivi di essere seguiti per due anni e mezzi in maniera prospettica, dopo avere prelevato un loro campione di sangue così da osservare il rapporto tra la condizione in questione e il metabolismo. Ebbene, i risultati hanno dimostrato l'esistenza di una firma metabolica composta da metaboliti, ovvero piccole molecole prodotte dal processo metabolico che appartengono a determinati tipi di lipidi (grassi che includevano eicosanoidi e sfingolipidi) e purine, queste ultime costituite da molecole come ATP e ADP fondamentali per l’accumulo di energia nelle cellule e nella comunicazione tra cellule sotto stress. Questa firma permetterebbe di prevedere quali pazienti avrebbero più probabilità di ricadere in depressione fino a due anni e mezzo nel futuro con un’accuratezza superiore al 90 per cento.
In futuro potremmo essere in grado di determinare se un uomo ha il rischio di mettere al mondo un figlio che poi svilupperà un disturbo dello spettro autistico. Un gruppo di ricercatori della Washington State University (https://wsu.edu/), del Valencia ClinicalResearch Center e dell'Università di Valencia in Spagna ha individuato alcuni biomarcatori contenuti nel liquido seminale che potrebbero essere associati a una probabilità maggiore di generare bambini con autismo. I risultati, pubblicati sulla rivista ClinicalEpigenetics, aprono la strada anche a una maggiore comprensione dei fattori che possono promuovere l'autismo.
Dal vaccino anti-Covid a un siero immunizzante contro la sclerosi multipla. È esattamente quello che ha fatto BioNTech, partner della Pfizer, nello sviluppo dell'innovativo vaccino contro Sars-Cov-2 a base di Rna. Con la stessa metodologia i ricercatori dell'azienda hanno messo a punto un siero testato con successo in uno studio pubblicato sulla rivista Science. “In pratica– spiega UğurŞahin, immunologo e docente di Oncologia presso l'Università di Magonza, nonché amministratore delegato di BioNTech – viene inoculata una sezione di RNA messaggero, materiale genetico che porta le cellule del corpo a produrre una proteina che conferisce l'immunità. Nel caso del vaccino contro Covid-19, il sistema immunitario riconosce il virus in caso di reinfezione, producendo gli anticorpi specifici e combattendo l’infezione prima che possa diffondersi, mentre per la sclerosi multipla la tecnologia impedisce al sistema di attaccare i neuroni nel cervello e nel midollo spinale, prevenendo l'eventuale perdita della funzione corporea”.
Ridurre il rischio di soffrire di declino cognitivo potrebbe essere facile se si ha la costanza di investire solo 10 minuti del proprio tempo al giorno. Uno studio condotto dall'Irving Medical Center dell'Università della Columbia ha dimostrato infatti che alle persone di mezza età bastano solo dieci minuti di esercizio fisico quotidiano per prevenire il declino cognitivo. La ricerca, pubblicata sulla rivista Neurology, ha coinvolto 1.600 persone con un'età media di 53 anni, sottoposte a cinque valutazioni in un periodo lungo 25 anni.
In particolare, i ricercatori hanno valutato l’impegno di ogni soggetto nell’attività fisica e, in generale, il tempo dedicata all’esercizio. Sono state poi effettuate scansioni cerebrali per misurare la materia cerebrale grigia e bianca, le lesioni e le aree più danneggiate del cervello. “I nostri risultati suggeriscono che l’attività fisica di intensità moderata o vigorosa possa avere un effetto protettivo per l’invecchiamento cerebrale”, afferma Priya Palta dell'Irving Medical Center. “Un’ora e 15 minuti di attività fisica ogni settimana sembra in grado di promuovere la salute del cervello e preservare la struttura cerebrale”, aggiunge. Inoltre, i risultati dello studio suggeriscono che un esercizio settimanale di due ore e mezza sarebbe associato a un minor numero ancora di segni di malattia cerebrale. “Chi non si era impegnato in questo tipo di attività – riporta l’autrice – aveva una probabilità del 47 per cento più elevata di sviluppare piccole aree di danno cerebrale dopo 25 anni rispetto a coloro che facevano esercizio, mentre livelli di attività più elevati erano collegati a una maggiore integrità della materia bianca”.
Gli scienziati hanno anche esaminato il movimento delle molecole d'acqua nel tessuto cerebrale. “I partecipanti che hanno riportato un'elevata attività fisica durante il periodo di mezza età – dice Palta – mostravano movimenti più vantaggiosi. Questo mostra che l’attività fisica presenta numerosi benefici per la salute del cervello. La nostra ricerca suggerisce quindi che l'attività fisica può avere un impatto sulla cognizione, per cui svolgerla è davvero importante per mantenere intatte le capacità cognitive in età avanzata”. Il tipo di attività fisica richiesta non è solo quella che si svolge in palestra. “Camminare a passo sostenuto, correre o andare in bicicletta, insomma, svolgere attività fisica con regolarità sembra associato a un’insorgenza meno significativa di danni cerebrali dopo 25 anni”, concludono i ricercatori.
Una nuova versione della nota tecnica di “editing genetico”, nota come Crispr-Cas9, riaccende la speranza di tutti quei bambini affetti da progeria, una rara e grave malattia che causa invecchiamento precoce. L'innovativa tecnica si chiama "base editing" e permette di correggere una singola lettera “sbagliata” del Dna. Gli esperimenti condotti da un gruppo di scienziati dell'Università di Harvard sui topolini hanno permesso di raddoppiare la durata della vita degli animali. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Due geni, chiamati NUTM1 e PAX5, possono aiutare a prevedere la gravità di una particolare forma di leucemia linfoblastica acuta che insorge nei bambini con meno di un anno di età. Uno studio, sviluppato nei laboratori di ricerca della Fondazione Tettamanti in collaborazione con l'Università di Milano Bicocca ed altri centri clinici italiani, ha rilevato, infatti, che se nelle cellule malate il gene NUTM1 è fuso con altri geni la prognosi della malattia è migliore mentre se è il gene PAX5 ad essere fuso con altri, l'esito della patologia è più grave. Non solo, lo studio ha evidenziato che la presenza di queste alterazioni geniche può essere utile per scegliere i farmaci più efficaci contro la malattia. I risultati dello studio, sviluppato analizzando retrospettivamente i dati di pazienti di centri dell'Associazione Italiana Emato-Oncologia Pediatrica (AIEOP), sono pubblicati sulla prestigiosa rivista Blood.
Un nuovo biosensore per un nuovo indicatore glicemico che consente di diagnosticare precocemente il diabete mellito, anche e soprattutto in quei casi in cui la rilevazione della malattia con la tradizionale tecnica del prelievo di gocce di sangue può rappresentare un problema. A sviluppare questo nuovo utile strumento è stato un gruppo di ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma, in collaborazione con colleghi del Department of Mechanical Engineering della Johns Hopkins University (Baltimora, Usa). I risultati, pubblicati sulla rivista Advanced Healthcare Materials, possono avere un impatto straordinario per alcune persone affette da anemie, insufficienza renale o patologie legate alla sintesi dell’emoglobina nel sangue (emoglobinopatie), che non possono usufruire della misurazione dell'emoglobina glicata (HbA1c).
Per la prima volta al mondo è stato ricostruito un timo umano con tutte le sue funzionalità. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Francis Crick e dell’University College London, con il contributo del Laboratorio di Epigenetica degli Organoidi e Cellule Staminali dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), hanno creato questo organo essenziale per il nostro sistema immunitario, usando cellule staminali umane e una struttura bioingegnerizzata. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature Communications, rappresentano un importante passo avanti verso la costruzione di timi artificiali da utilizzare nei trapianti d’organo.
Basta un semplice prelievo del sangue per individuare, caratterizzare e seguire l’evoluzione del tumore ovarico. E’ proprio questo quello che consente di fare la biopsia liquida sviluppata e testata da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, guidato da Maurizio D’Incalci, in collaborazione con i medici dell’Ospedale San Gerardo di Monza e dei ricercatori dell’Università di Padova e dell’Harvard Medical School di Boston. Lo studio sostenuto dalla Fondazione Alessandra Bono Onlus e dalla Fondazione AIRC, è stato pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research.
C’è una proteina strettamente legata all’invecchiamento dei muscoli che, se inibita, consente di prevenire la sarcopenia e la perdita di forza muscolare che avviene con l’avanzare dell'età. Si chiama 15-PGDH e a individuare il suo coinvolgimento nell’insorgenza della sarcopenia è stato un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine. Per dimostrarlo gli studiosi hanno condotto una serie di esperimenti sui topi anziani, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science.